Letture per non dormire

Molti dei racconti qui narrati corrispondono a episodi realmente accaduti a me e ai miei familiari o a miei conoscenti o amici

di Massimo Messa

(2012)

PREFAZIONE (di Luciano Zucca Marmo)
Con viva soddisfazione porto il mio piccolo contributo alla settima opera di Massimo Messa, scrivendone la prefazione. Anzi tutto perché a Massimo mi lega un’amicizia di vecchia data, nata nell’ambiente di lavoro, ma sviluppatasi e continuata soprattutto al di fuori. Poi perché mi sento in una certa misura “complice” della sua attività di narratore, per averlo incoraggiato fin dai suoi primi tentativi. Questa vicinanza mi ha consentito di seguirlo nel suo processo di maturazione e di evoluzione. La sua prima opera, pubblicata quando aveva da tempo raggiunto l’età matura, ha affrontato una tematica ben lontana dalla narrazione. Si è trattato di un’ampia selezione delle molte migliaia di fotografie, che ha ripreso nel suo girovagare di viaggiatore curioso nei paesi nordici di quasi tutte le longitudini. Tuttavia, dai commenti che corredano le foto, traspare già in qualche modo la sua propensione a narrare.

Successivamente, Massimo ha deciso di dare sfogo alla sua esigenza interiore di raccontare. Lo ha fatto partendo dalla propria esistenza, attraverso opere fortemente autobiografiche. Il mondo narrativo dei suoi esordi era sostanzialmente ristretto alle sue personali esperienze, prevalentemente giovanili, caratterizzate dall’ingenuità e dagli entusiasmi di quell’età. Nonostante si sia poi trovato a raccontarle a diversi decenni di distanza e in un’età in cui agli atteggiamenti giovanili subentra inevitabilmente il disincanto, mai il narratore maturo prende le distanze dal giovane protagonista, a conferma del principio che l’uomo è comunque figlio di tutte le proprie esperienze, indipendentemente dalla valenza che l’insegnamento di ciascuna di queste ci lascia.

Nel corso dei suoi cinque romanzi, la componente autobiografica sfuma progressivamente e Massimo si ispira a fatti di vita reale, di cui è stato testimone, diretto o indiretto, ricostruendone con cura i personaggi. Tra un’opera e la successiva si coglie nitidamente la crescita della sua efficacia narrativa, attraverso l’articolazione delle vicende e la caratterizzazione dei protagonisti. So per certo che Massimo ha lavorato intensamente – e in misura progressivamente crescente nel tempo – sulle vicende e i personaggi delle sue opere, tanto che al termine di ciascuna, si rifiutava di prendere in considerazione spunti per la pubblicazione successiva, sentendosi svuotato, forse appagato, certamente bisognoso di riposo per recuperare le energie mentali profuse.

Questa settima pubblicazione di Massimo Messa – la sesta del filone narrativo – abbandona il romanzo, per affrontare il racconto breve. Avevo qualche dubbio sull’efficacia del risultato, perché il racconto breve porta a limitare l’approfondimento psicologico dei personaggi, che aveva rappresentato un elemento rilevante nelle opere precedenti. Almeno in un caso (Razionalità versus orgoglio), mi sono dovuto invece ricredere: il personaggio di Lavinia del racconto in questione, combattuta tra la continuazione di una vita tranquilla, agiata, ma senza sussulti, e l’abbandono di tale sicurezza, per ripartire da zero accanto all’uomo che sente, spera di amare, non ha nulla da invidiare in termini di introspezione psicologica ai personaggi più riusciti delle precedenti opere del nostro autore.

La tipologia dei racconti presentati in questa raccolta svaria dalla semplice (ma l’aggettivo è certamente riduttivo) riflessione lapidaria, ma mai banale, all’episodio colto durante i viaggi intrapresi per realizzare reportage fotografici, alla rievocazione di personaggi storici, resuscitati per raccontare alla nostra generazione le vicende, spesso avventurose, di cui sono stati protagonisti o vittime. Nei racconti in cui decide di immergere il lettore in un’atmosfera di mistero (esemplare è Il soprabito e il cammeo), Massimo raggiunge il suo scopo con stupefacente efficacia. Misterioso è anche il pregevole La cella, in cui l’incubo kafkiano creato attraverso lo sviluppo del racconto si dissolve improvvisamente in una tranquillizzante conclusione.

Per finire questa breve prefazione e lasciare a voi il piacere di affrontare la lettura, evidenzio una qualità del narratore che da molti anni mi colpisce. Parlo del suo non comune spirito di osservazione, della sua capacità di cogliere i particolari più nascosti dei luoghi che descrive. Osservate la sua descrizione de Il Castello del Volterraio, tanto più stupefacente per chi, come me, sa che Massimo ha visitato quel luogo molti anni fa, quando certamente non lo sfiorava neppure il sospetto che un giorno lo avrebbe descritto con la stessa precisione di chi si trova a osservarlo dal vivo. Sono convinto che questa sua capacità sia stata affinata dal suo mestiere di fotografo, come ci dice il brevissimo La solitudine non è …

NOTA DELL’AUTORE

Molti dei racconti qui narrati corrispondono a episodi realmente accaduti a me e ai miei familiari o a miei conoscenti o amici. Sono dunque storie vere. Altri sono influenzati dai miei trascorsi da saggista. Altri ancora sono palesemente frutto di fantasia o tutt’al più di rimasugli onirici che spesso mi prendono nel corso di notti insonni ove il dormiveglia contribuisce a produrre fantasie e, talvolta, incubi sgradevoli, comunque meritevoli di essere trasmessi ai lettori. Storie che non ho mai dimenticato e che ho conservato nel mio cassetto. Fino al momento in cui ho pensato di “metter la volpe a guardia del pollaio”.