Racconti e riflessioni piccanti

È un bell’aggettivo, “piccante”; è qualcosa che stimola il palato e la fantasia, che solletica i sensi e, attraverso questi, invia squillanti messaggi alla mente e, perché no, al cuore.

di Massimo Messa

(2018)

Il piccante, però, è un gusto forte, da dosare con sapienza e misura, e da assaporare senza lasciarsi sopraffare.

Prefazione di Antonio Chargé

Come nella miglior cucina, in questi racconti il piccante c’è, eccome, ma non è fine a se stesso. Come nelle pietanze più gustose è dosato, amalgamato, armonizzato con gli altri ingredienti per creare quell’equilibrio che rende piacevole il cibo così come la lettura.

Gustiamocelo pure, l’aroma piccante che si diffonde dalle pagine di questa raccolta. Gli ingredienti sono quelli giusti: l’infedeltà, l’avventura, l’incontro occasionale. Però non fermiamoci: ci sono altri gusti, magari meno forti ma altrettanto interessanti, che il piccante introduce e valorizza: l’amaro dell’umana miseria, il salato della sconfitta, il dolce dell’affetto, a volte perduto, a volte ritrovato.

Vale per i singoli racconti e vale per la raccolta nel suo insieme, che si apre già con una situazione boccaccesca, se vogliamo, ma con un background di malinconia, se non di disperazione, e un intervento del Fato che richiama alla mente il Deus ex machina delle tragedie classiche. Procede poi destreggiandosi tra generi differenti, che l’aroma piccante accomuna e amalgama. Passiamo dalla commedia, brillante o tendente al nero, al dramma di un incontro mercenario che, se per l’uno è solo un’eccitante parentesi, per l’altro diviene un evento mortalmente devastante (per dirla con Guccini: quante volte per altri è vita quello che per noi è un minuto), alla poesia dell’amore romantico, incorniciato in una soffitta della vecchia Milano, come a quella che nasce dove non te l’aspetti, tra i reietti che dormono in stazione, a ricordarci una volta di più che è dal letame, non dai diamanti, che nascono i fiori. E non manca un paio di tuffi nella Storia, tra cui un’accattivante ipotesi (piccante, naturalmente) sulla nascita di un mito.

E poi, come in un vero pranzo gourmet, a un certo punto si fa una pausa.

Già, perché a un certo punto si nota un mutamento. Piccolo, però evidente. A un certo punto i titoli diventano in corsivo.

Nel giornalismo, qualcuno ricorderà, il termine “corsivo” ha un significato preciso: indica l’articolo di fondo, il pezzo d’opinione; è il momento in cui dalla cronaca si passa alla riflessione, lo spazio che il cronista riserva a se stesso, alle sue idee, al suo pensiero (alla sua anima?).

E’ così anche i corsivi di questa raccolta, le riflessioni in cui l’autore parla di sé, del suo rapporto con la scrittura, in cui racconta emozioni più intime, idee e opinioni sul mondo e sulla vita.

Riflessioni piccanti? Sì, certo, almeno in parte (gustoso il parallelismo tra la pulsione erotica e l’impulso di scrivere), ma di un piccante non più troppo acuto, un piccante che si addolcisce preparandosi (rassegnandosi?) a dissolversi, e ci accompagna verso il finale della raccolta: due racconti che sono anche riflessioni, pur senza corsivo. Riflessioni sulla provvisorietà delle cose, degli affetti, di tutto ciò che troppo spesso diamo per scontato. Riflessioni, direbbe un buddhista, sull’Impermanenza, ma anche sul valore dei ricordi che vanno oltre l’umana caducità. Riflessioni, in una parola, sul comune destino di tutti noi.